Il self publishing e la regola del fantino

– Complimenti! Hai scritto un libro. E con chi lo hai pubblicato?

A questo punto, quando dici che hai fatto tutto da solo attraverso uno dei tanti servizi di self publishing, noti che un leggero movimento sposta il sopracciglio dell’interlocutore in alto e fa assumere al suo volto un’espressione quasi compassionevole.

– Certo, self-publishing… capisco…

Poi però gli dici anche che in poco tempo hai venduto 3.000 copie e, nell’arco di un anno, quelle copie sono addirittura raddoppiate perché hai fatto delle campagne mirate con Google e Facebook e qualche signore autorevole ti ha perfino dedicato uno spazietto per parlare del tuo libro.

A questo punto la bocca del tuo interlocutore assume una vaga forma a “O”. Espressione che sta per: “Occavolo”! Capisci così di aver colpito nel segno e il grande professionista di turno inizia la sua tiritera su quanta spazzatura venga ormai pubblicata da questo signor “Self-publishing” e che, ovviamente non è il tuo caso, il lavoro di un editore serio non può essere certamente paragonato a tutta quella robaccia pubblicata da dita inesperte e bla, bla, bla…

Hanno tutti ragione. Fra il marasma di libri auto pubblicati mi è capitato di leggere pagine di rara bruttezza e non c’è genere che tenga. L’ultima opera fantasy che ho avuto fra le mani aveva di fantastico solo l’approccio, direi personalissimo, con la lingua italiana. Per non parlare delle migliaia di poeti incompresi e dei romanzieri da 2.000 pagine e 4.000 refusi. A onor del vero, bisogna dire che neanche i grandi editori sono immuni a scivoloni di questo tipo. Tuttavia, l’unica cosa che conta è che oggi il 5% dei libri pubblicati in Italia in formato digitale è autoprodotto. Non è poco e neanche tanto. Però abbiamo a che fare con un fenomeno con cui bisogna fare i conti perché in mezzo a quei libri può anche esserci il capolavoro che le case editrici hanno scartato e che non avrebbe mai visto la luce altrimenti. Ho letto delle bellissime cose autoprodotte e sono contento di averlo fatto, ma il self-publishing non è tutto rose e fiori.

Va benissimo scrivere un libro, tassativo farlo leggere a qualcuno che lo sistemi e lo guardi con occhio esterno e oggettivo (Ogni scarrafone è bello a mamma sua). Ma poi, una volta pubblicato, chi se lo compra?

Questo è il vero problema. Ammesso di avere fra le mani un gran capolavoro, come farlo conoscere in giro? Se crediamo che basta mandarlo a qualche quotidiano per avere una recensione gratis, togliamocelo pure dalla testa. Le email vengono tassativamente ignorate e al telefono risponde sempre qualcuno che chiude con il più classico: “Le faremo sapere”.

Eppure gli strumenti per fare autopromozione ci sono e funzionano, certo bisogna saperli usare. Ma forse vale la pena perdereci un po’ di tempo. L’importante è non abusarne.

Per esperienza personale, mi sono trovato benissimo con i servizi offerti da:

Lulu: perchè intanto permette al titolo del tuo libro di essere indicizzato su Google

Il mio libro: per lo stesso motivo, ma anche perchè i moderatori del sito sono molto attivi e operano benissimo sulle piattaforme social

Amazon: perchè ti permette di pubblicare subito l’edizione digitale del tuo capolavoro e comunque fa figo leggerlo sul Kindle

Facebook: perchè puoi creare una campagna di pubblicità accattivante e destinata solo a coloro che ritieni essere i tuoi potenziali lettori.

 

Si potrebbe creare una lista lunghissima perchè ormai i siti e gli strumenti dedicati al self publishing sono cresciuti a dismisura e ce n’è davvero per tutti i gusti, ma una regola vale su tutti: prima di spendere tempo ed energie, assicuriamoci di avere davvero un cavallo vincente, magari facendolo vedere prima a un fantino esperto… poi saremo pronti a tuffarci in quel famoso 5%, inevitabilmente destinato ad aumentare.

 

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